Le pensioni di nonni e genitori rendono sostenibile il precariato di figli e nipoti (il Manifesto 16 gennaio 2020)

Le pensioni di nonni e genitori rendono
sostenibile il precariato di figli e nipoti
- Roberto Ciccarelli, 16.01.2020
Istat. Le pensioni sono il primo reddito per 7,4 milioni di famiglie italiane. Da ricordare quando
scatterà la prossima geremiade contro l’«apartheid» dei precari. Non sono i «vecchi» ad avercela
con i «giovani». Sono entrambi sfruttati in una guerra che mantiene tutti in povertà. Non è una
guerra tra generazioni. È il saccheggio di tutte le generazioni operato dal capitalismo oggi
Il Welfare più arretrato, disfunzionale e ingiusto d’Europa si regge grazie ai pensionati. La crisi
sociale acutissima prodotta dal precariato strutturale di massa nell’ultimo trentennio è sostenibile
solo grazie all’integrazione al reddito garantita dai genitori e dai nonni che mettono a disposizione
l’assegno mensile e le varie forme di rendita accumulate nel corso di una vita di lavoro di una o più
generazioni per sostenere figli e nipoti che vivono nell’economia dei «lavoretti».
Nel rapporto sulle condizioni di vita dei pensionati pubblicato ieri dall’Istat emerge un aspetto
drammatico. Per quasi 7 milioni e 400 mila famiglie, circa una su tre, le pensioni rappresentano il
primo reddito. La crisi del reddito e del salario, la vera questione politica oggi, è arrivata a questo
punto: davanti alla casualità assoluta dei guadagni delle generazioni nate dopo il 1970, quelle
precedenti suppliscono in maniera quasi totale alla vita di una popolazione composta da poveri e da
lavoratori poveri, giovani e meno giovani. Questo dato rivela che la solidarietà familiare ha sostituito
il patto intergenerazionale sulla quale è fondata la previdenza. La famiglia è stata trasformata in una
rete di ultima istanza. È una supplenza alla mancanza di un Welfare universale che tutela il diritto di
esistenza, un principio che dovrebbe essere fondativo di uno stato costituzionale di diritto. Non lo è
in nessun modo. Al contrario, si dà ormai per scontato l’esistenza di tale disponibilità finanziaria per
evitare di riconoscere il diritto al lavoro, al reddito, alla casa, a una vita dignitosa nel e soprattutto
fuori da un lavoro sempre più miserabile.
Il rapporto Istat fornisce un’altra informazione che permette di comprendere l’insostenibilità e
l’ingiustizia di questo sistema. Non solo l’anziano permette al più giovane di sostenersi, ma un
pensionato su tre è anche povero. Il 36,3%, riceve ogni mese meno di mille euro lordi, il 12,2% non
supera i 500. Un pensionato su quattro percepisce un reddito lordo sopra i 2 mila euro. Tra i
pensionati esiste una disuguaglianza di reddito molto significativa che si riflette sul territorio: il
Nord assorbe metà della spesa. Le più penalizzate sono le donne, le più precarie nel lavoro, nella
famiglia e anche quando arrivano all’età della pensione. Tutte le famiglie che dipendono dai redditi
poveri dei pensionati sono, a loro volta, a rischio povertà: il 15,9% ha calcolato l’Istat. Inoltre, i
redditi precari, sommati alle pensioni povere, permettono anche agli anziani di sopravvivere. Il
cumulo di pensioni e redditi da attività lavorativa abbassa il rischio di povertà al 5,7% rispetto al
17,9% di quelle costituite da soli pensionati.
Un altro dato è significativo. Si dice che la «silver economy», l’«economia d’argento» che sfrutta il
potere di acquisto dei pensionati in termini di consumi, sia il futuro. Con l’allungamento dell’età
pensionabile, e il cumulo del reddito da pensione e da lavoro, i pensionati che possono permetterselo
lavoreranno per sostenere figli e nipoti.
Uno scenario da ricordare quando scatterà la prossima geremiade contro l’«apartheid» dei precari.
Non sono i «vecchi» ad avercela con i «giovani». Sono entrambi sfruttati in una guerra che mantiene
tutti in povertà. Non è una guerra tra generazioni. È il saccheggio di tutte le generazioni operato dal
capitalismo in regime neoliberale.